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CLAUDIO MILANO, ERNA FRANSSENS, “ADYTHON” (DEN RECORDS)

Kasyanoova, ovvero: Claudio Milano (recente vincitore, insieme a Luca Passavini, del Premio Demetrio Stratos con il progetto Nichelodeon) ed Erna Franssens (anche conosciuta come Kasjanoova); un trio composto dal sax tenorista Stefano Ferrian e da Attila Fravelli e Alfonso Santimone.

Se possibile, l’ignaro escursionista sonoro si trova davanti ad una montagna ancora più impervia rispetto a quanto ascoltato in Nichelodeon o nel disco dei Radiata 5tet, già recensiti da queste parti e che hanno il proprio trait d’union nella figura di Claudio Milano.

Due le tracce: la prima che sfiora il quarto d’ora di durata, la seconda che sfora i trenta minuti; già con questi puri dati ‘tecnici’ si intuisce di trovarsi di fronte a qualcosa di quantomeno inusuale, per i non avvezzi alla sperimentazione.Le cose si fanno ulteriormente più ardue, quando ci si immerge nei bacini riempiti dai suoni e dalle parole dei partecipanti al progetto.

Claudio Milano interpreta i versi della Frannsens: interpretazione è il termine più adatto, dacchè il ‘cantato’ sfiora sempre la declamazione e si mescola con autentici esercizi vocali tra modulazioni, borbottii, improvvisi scoppi.Il contorno sonoro si muove ai limiti di quanto è definibile come ‘musicale’: nel primo brano in sottofondo è tutto un crepitare di schegge e stridii elettronici; nel secondo a loro si unisce il sax, con esiti pienamente riconducibili alla musica classica contemporanea, piuttosto che alle più ardite sperimentazioni jazz. I testi sfiorano il flusso di coscienza, addentrandosi in territori che potremmo definire quasi da ‘autosuggestione’: non a caso, oltre alla title track, l’altra composizione è stata battezzata L’oracolo di Delfi.

Un lavoro ‘difficile’: o almeno, un lavoro che, per essere compreso a pieno, richiede degli strumenti anche ‘culturali’ (di conoscenza dell’avanguardia) dei quali non tutti sono in possesso; l’alternativa, come al solito in questi casi, è lasciarsi completamente andare, trasportare, ammaliare da un lavoro lontano anni luce dalle esperienze musicali (anche quelle più ‘alternative’) che comunemente si sentono in giro.

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THE RADIATA 5TET, “AURELIA AURITA” (DEN RECORDS)

E’ sempre un pò complicato recensire questo tipo di dischi: si è sempre  combattuti tra la consapevolezza di non avere troppi mezzi a disposizione per poterli ‘inquadrare’ efficacemente, e la volontà comunque di dedicargli qualche riga, perché proprio in quanto prodotti ‘di nicchia’, di ‘arduo ascolto’, etc… difficilmente lavori del genere trovano spazi che non siano quelli canonici dedicati ad un pubblico iperspecializzato.

Come il nome suggerisce, il progetto nasce dalla collaborazione di cinque musicisti: il nucleo originario costituito dal tenor sassofonista Stefano Ferrian e dalla violoncellista argentina Cecilia Quinteros; a loro si sono uniti Claudio Milano e Luca Passavini (che da queste parti abbiamo già incontrato col suo progetto Nichelodeon, che ha fruttato loro tra l’altro il Premio Demetrio Stratos) rispettivamente a voce e contrabbasso e il trombettista Vito Emanuele Galante.

Siamo, come forse si sarà capito, nei vasti territori dell’avanguardia, a cavallo tra jazz e musica classica contemporanea. Le dieci composizioni che formano il disco si snodano come un flusso più o meno unitario: difficile parlare di ‘brani’ e di ‘strutture’ in senso stretto: l’improvvisazione appare rivestire un ruolo chiave in questo scorrere sconnesso e frammentario, tra periodi di relativa quiete e improvvise esplosioni sonore, dove un ensemble musicale dagli umori più che mai ondivaghi si accompagna talvolta a una vocalità anch’essa con accenti strumentali, sulla cui interpretazione quasi ‘declamata’ dei testi appare aleggiare il ‘solito’ Schoenberg.

Voce e strumenti dialogano, a volte quasi mimando un sussurrare sottovoce, in altre parentesi dibattendo vivacemente o addirittura ‘litigando’, dando vita a un insieme sonoro inquietante, dai contorni affascinanti e talvolta – perché no – anche disturbanti (senza che questo rappresenti per forza un difetto).

Più di questo, sinceramente riesce difficile dire: si può concludere affermando che si tratta di un disco certo indirizzato ai cultori della materia e più ampiamente a coloro che difficilmente si spaventano di fronte a dischi dall’ascolto arduo e a coloro che si lasciano volentieri guidare dalla curiosità dell’inaspettato e dell’inconsueto.

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