Un disco dedicato a tutto quanto causa perdita di produttività, tempi morti, cali di efficienza: Muda è un termine giapponese per sintetizzare tutto questo… Una particolare teoria dell’organizzazione dei processi produttivi ha teorizzato l’eliminazione di qualsiasi perdita di efficienza attraverso il metodo del ‘just in time’: nella catena produttiva, ogni pezzo deve essere disponibile immediatamente, al momento giusto e nelle quantità richieste, in modo da ridurre al minimo i rischi di interruzione, i tempi di attesa, etc… Muda sintetizza dunque tutto ciò che questo sistema vuole evitare…
Davide Solfrini da Cattolica, classe 1981, questo sistema lo conosce bene, lavorando abitualmente come operaio in una grande azienda: non casuale, dunque la scelta di questo titolo per il proprio esordio sulla lunga distanza (dopo due EP), esaltazione dei tempi morti e delle ‘dispersioni’ rispetto all’imperante concetto della produttività, del riempire, spasmodicamente, qualsiasi ‘vuoto’. Concetto non nuovo, se vogliamo, ma esposto nei nove brani presenti (il decimo è una riproposizione dal vivo del pezzo di apertura), in uno stile discretamente autonomo.
L’aspetto migliore di Muda è proprio il fatto che ascoltandolo si ha una lieve sensazione di già sentito, ma che poi a pensarci non si riesce mai a capire ‘dove’ lo si sia in effetti ascoltato: per certi versi potrebbe venire in mente Branduardi (anche se qui di tradizione popolare medievale non c’è traccia), un certo sentore caustico che percorre i brani può forse far venire in mente Ivan Graziani, anche se qui c’è forse una minore tendenza al gioco… Alla fine si ha la sensazione di un cantautorato che ha molto a che fare con la musica leggera italiana a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, corredato da suggestioni sonore d’oltreoceano, il tutto in salsa semiacustica, con le chitarre a fare da padrone e le tastiere da sostegno, per un canzone pop-rock di classe, condita con vaghe riminiscenze indie.
Davide Solfrini prende di mira l’ossessione del ‘riempimento’ del tempo dei giorni nostri, l’invadenza dei media che incide su qualsiasi su abitudini, modi di pensare, persino gusti in fatto di cucina, la solitudine di chi si sente fuori posto, o fuori tempo, quella di chi rifiuta il contatto col prossimo, visto come un ostacolo alla propria (presunta) realizzazione personale e quella di chi progressivamente sostituisce al calore del rapporto interpersonale la freddezza di quelli digitali, fino ad un efficace ritratto del ‘bugiardo’, autentica figura di riferimento dei nostri tempi… la salvezza da tutto ciò, affidata puntualmente all’intimità domestica e famigliare…
“Muda” vive su una scrittura a tratti vagamente ellittica, giocata talvolta su ciò che manca, sul ‘non detto’, su quegli stessi ‘spazi e tempi vuoti’ di una modernità ossessiva dei quali il disco intende essere un po’ un’esaltazione; un disco che ci propone una nuova interessante voce del panorama cantautorale italiano.