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BRUNO BELLISSIMO, “BRUNO BELLISSIMO” (LOCALE INTERNAZIONALE)

Musica ‘prodotta’ e strumenti ‘reali’: la dance da una parte, il funk e lo swing dall’altra: un esperimento certo già effettuato, un matrimonio non sempre riuscito.

Stavolta si cimenta nell’impresa l’italo-canadese Bruno Bellissimo, qui all’esordio sulla lunga distanza, non a caso anche per lui una curriculum più o meno equamente diviso tra la carriera di DJ e producer e quella di polistrumentista, recentemente visto come bassista nel tour di Colapesce.

Nove composizioni, nelle quali Bellissimo ha proceduto per ‘sottrazione’, andando se vogliamo a raggiungere il ‘nocciolo ritmico’ della questione: lo swing appunto, chiamando poi Gaetano Santoro (collaboratore di lungo corso di Roy Paci) al sax e il fratello gemello Bonito alle percussioni, condendo il tutto con chitarre, tastiere e una manciata di campionamenti vocali presi qua e là, più o meno a caso.

L’esito è intrigante: i rimi sono piacevoli, invitano muovere la testa su e giù o a battere il piede; il suono – e questo forse è il miglio pregio del disco – è caldo e avvolgente; pur conservando la ripetitività ipnotica tipica della musica da dancefloor, il rischio della noia (almeno per gli ascoltatori non abituali di questi lidi sonori) è in gran parte evitato.

Il gioco dei rimandi e delle suggestioni sarà certo più facile per i più avvezzi al genere; qua e là emergono appaiono emergere sprazzi dell’epoca d’oro delle sonorizzazioni cinematografiche italiane degli anni ’60 e ’70.

Il matrimonio tra ‘suonato’ e ‘prodotto’ appare insomma stavolta riuscito, per un lavoro che potrebbe riuscire gradevole anche ai non appassionati del genere.

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THE STRANGE FLOWERS, “THE GRACE OF LOSERS” (CD BABY)

Ora, un disco come questo sarebbe forse facilmente derubricabile come la prova ‘fuori tempo massimo’ di una band disperatamente ancorata al ‘bel tempo che fu’ (ossia: un rock non troppo ‘hard’ in stile anni ’60 ’70, con lo sguardo indirizzato per la gran parte al di là dell’oceano, ma senza risparmiarsi, ogni tanto, un’occhiata oltremanica). O meglio, questa sarebbe anche una recensione ineccepibile, volendo utilizzare il lettore cd come un tavolo anatomico, assumendo un atteggiamento asettico.

Il rock, per fortuna (o purtroppo…) è anche altro, e allora nel recensire il nuovo disco dei pisani Strange Flowers non si può prescindere dal dato puramente anagrafico: questa band circola infatti dal 1987, il che significa che quest’anno celebra il quarto di secolo tondo di attività. Una longevità che si riscontra raramente trai gruppi ‘di successo’, figuriamoci tra quelli che sotto la piena luce dei riflettori non ci sono mai arrivati, barcamenandosi per portare avanti il loro ‘mestiere’, dovendo poi fare i conti con le stringenti necessità del quotidiano.

Tenendo conto di questo, il disco assume un sapore (un suono, verrebbe da dire) in parte diverso: ci si accorge di essere certo di fronte a nove brani, piuttosto canonici, che nulla ovviamente aggiungono di nuovo al genere, essendone una riproduzione piuttosto calligrafica, tra rock e pop, magari con una punta di psichedelia (negli episodi più efficaci), ma che alla fine danno vita a un disco godibile, un tuffo nel passato che tutto sommato è apprezzabile e un nuova tappa nel viaggio di una band che va stimata anche per il solo fatto di essere riuscita non mollare per tutto questo tempo.

IN COLLABORAZIONE CON LOSINGTODAY