Adonis (per gli amici Donnie) è un figlio illegittimo, nato da una relazione extraconiugale del padre, morto prima che lui nascesse; in seguito, dopo aver perso anche la madre, ha passato l’infanzia tra orfanotrofi e riformatorii, fino a quando a ‘salvarlo’ e a dargli un futuro e una vita agiata è intervenuta la moglie ‘ufficiale’ del padre.
Piccolo particolare: l’uomo in questione è Apollo Creed.
Adonis è il classico ‘ragazzo difficile’, cresciuto con un grumo di rabbia interiore, che nemmeno una promettente carriera lavorativa è riuscito a sopire: il DNA non mente, la rabbia mai sopita fa il resto, e così Donnie nel tempo libero se ne va a combattere sui ring clandestini del Messico, quando non se ne sta in salotto a rivedere – e imitare – gli epici match del padre contro Rocky Balboa… Non casuale il fatto che Donnie imiti le movenze di quest’ultimo e non del padre.
Arriva il momento delle scelte, in cui bisogna prendere il toro per le corna, e Donnie si rivolge proprio all’ex grande avversario del padre per poter definitivamente darsi al pugilato pure lui. Rocky è ormai anziano, stanco; soprattutto solo, e proprio per questo alla fine non può non accettare, e spingere il suo nuovo pupillo quando si presenterà la classica ‘grande occasione’, mentre in parallelo lo stesso Rocky si troverà a combattere una ben più importante ‘battaglia’.
Il rischio maggiore di Creed era la caduta nell’effetto – nostalgia: rischio talmente incombente da risultare evidente come si sia cercato di evitarlo a tutti i costi, tutto sommato riuscendoci.
Creed entra comunque a far parte della ‘grande saga di Rocky’ risultandone un’appendice, una sorta di postilla, la chiusura di un’epopea che allo stesso tempo ne apre un’altra.
Citazioni, allusioni, accenni, suggestioni ricorrono e si rincorrono lungo tutto il film, senza cadere nella melassa del ricordo, spargendo qua e là lungo il percorso una manciata di ‘chicche’ dedicate agli appassionati.
Se è vero che uno degli elementi che hanno costituito il mito di Rocky è la colonna sonora, in Creed è proprio questa a sintetizzare il rapporto del film coi predecessori: non sentirete, ad eccezione di un brevissimo inserto, le note strafamose di Bill Conti, ma il commento sonoro è una continua suggestione, una sorte di ‘Gonna fly now 2.0’; e Creed è un Rocky 2.0, in cui il regista Ryan Coogler (qui alla sua opera seconda, dopo “Prossima fermata Fruitvale Station” e quasi certamente incaricato di dirigere il cinefumetto dedicato a Pantera Nera, primo supereroe africano della Marvel) riesce mettere in ombra l’apparente banalità del ‘ragazzo dal passato complicato che, apparentemente riscattatosi, cede alla necessità impellente di fare i conti con la sua rabbia interiore e con conflitto irrisolto e irrisolvibile con la pesante eredità di un padre col quale non potrà mai scendere a patti direttamente’; un mix di elementi già visti altre volte, ma che in Creed vengono declinati abbastanza efficacemente.
Il protagonista Michael B. Jordan (visto nel film che dei Fantastici 4 aveva il titolo e poco altro) ha ancora parecchia strada da fare, specie quando alla ricerca dell’intensità finisce per calcare troppo la mano, ma poi alla fine diciamocela tutta, questo film gira tutto all’equivoco voluto: Stallone – Rocky sarà pure considerato un ‘non protagonista’, ma il suo peso è talmente evidente che il film, volenti o nolenti, gira molto intorno a lui, che alla fine la candidatura all’Oscar se l’è meritata tutta.
Il resto del cast si riduce alla giovane Thessa Thompson, che porta quel tanto di cuore e sentimenti nella vita del giovane Creed e a Phylicia Rashad – che molti ricorderanno come Claire, la madre dei Robinson – qui nel ruolo della madre / matrigna del protagonista, prevedibilmente combattuta nel capire che l’unica strada di vera realizzazione del figlio acquisito è la stessa che portò il marito alla morte.
Creed è un film per ‘appassionati’ (singolare come per me, che molte battute della serie le conosco a memoria, si sia trattato del primo film della serie visto al cinema), ma che forse dirà qualcosa anche ai non affezionati, pur non toccando certi livelli di ‘interiorità’ visti nel precedente “Rocky Balboa”, ancora dedicato al titolare della saga.
Punto di merito la veridicità dei combattimenti, grazie alle nuove possibilità di ripresa, all’insegna di un realismo sconosciuto a gran parte dei capitoli precedenti.
L’unica vera pecca del film arriva al momento del combattimento finale, quando lo spettatore viene posto di fronte alla scelta criminale del doppiatore di uno dei commentatori, che proprio all’apice della tensione conduce lo spettatore ad un roboante scoppio di risa. La fine di ogni poesia, la scelta scriteriata che in cui la tensione finale è costantemente atrofizzata dallo sghignazzo.
Posted by wwayne on 28 gennaio 2016 at 18:33
Rieccomi! Di Stallone ho adorato anche quest’altro film: https://wwayne.wordpress.com/2014/09/04/adoro-questuomo/. L’hai visto?
Posted by sherazade on 28 gennaio 2016 at 21:21
Stallone bravo assolutamente diverso dalla bolsa macchietta di se stesso degli ultimi episodi.
A me è sempre piaciuta la boxe e questo film mi è piaciuto anche se ha le sue magagne.
Sherabientot