TOMMASO TANZINI, “PIENA” (AUTOPRODOTTO)

Spesso un disco è concepito come un puro oggetto di consumo, un prodotto usa-e-getta da dare in pasto al pubblico, bruciando rapidamente per poi passare nel dimenticatoio; talvolta un disco è risponde ad una pura necessità comunicativa, al bisogno di dover esprimere ciò che si pensa di dover dire; a volte, un disco assume la forma di una seduta di autoanalisi, il modo per mettersi di fronte ad uno specchio e riflettere sul cammino percorso e sulle proprie prospettive… in questi ultimi casi i risultati non sono per niente facili, quasi del tutto privi di mediazioni, lasciati completamente alla sensibilità, all’empatia dell’ascoltatore.

L’esordio solista di Tommaso Tanzini appartiene a quest’ultima categoria: arriva dopo tutta una serie di esperienze, la più importante delle quali lo ha visto militare nei Criminal Jokers e assume la forma di un flusso ininterrotto di pensieri, considerazioni, immagini… il titolo non è casuale: i dodici pezzi presenti si susseguono come un fiume in piena… il paragone non sembri irriguardoso, in tempi in cui i fiumi in piena lo sono veramente e spaventano: del resto lo stesso lavoro è stato registrato in quel di Pisa, in un periodo in cui la piena dell’Arno si era fatta minacciosa…

“Piena” è una sorta di ‘punto della situazione’: a monte, l’urgenza del cantante e chitarrista di buttare fuori quanto covato probabilmente da anni, in quello che alla fine è un dialogo ininterrotto con sé stesso, o con un ‘altro’ indefinito. Dodici brani difficilmente catalogabili: i suoni ridotti all’osso, spesso ad un’unica chitarra con qualche effetto riverberante, talvolta con l’accompagnamento di tappeti elettronici, all’insegna di echi new wave, con più di una contaminazione folk; ma alla fine su tutto svetta la voce dell’autore, quasi nemmeno cantata, all’insegna di una salmodia dal tono amaro, disincantato, annoiato, dolente, sarcastico. Un continuo riflettere sul passato, sui rapporti interpersonali e affettivi, anche sul proprio essere musicista, che trova il suo apice nell’afflato lirico di ‘Madre’, lettera forse mai scritta, su cui aleggiano presagi oscuri.

Non è un disco facile, “Piena”: il cantato talvolta monocorde, i suoni ridotti all’osso, un andamento che a tratti sfiora l’ipnosi, (pur se con qualche parentesi di maggiore dinamicità) i testi frammentari, talvolta ellittici nella loro giustapposizione di immagini e pensieri, lo rendono un ascolto non facile; un lavoro che non sembra rispondere alla necessità di comunicare con l’altro, quanto uno strumento con cui l’autore fa i conti con sé stesso.

One response to this post.

  1. Io nn ti lascerò.
    Aria di ballata alla Leonard Cohen ma tetra.
    Poi magari no ma ci sono solo due pezzi.
    Sheracomescheggiabnotte

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